Da soli o in gruppo

Cari viaggiatori,

nei giorni scorsi si è assistito alla polemica tra chi voleva la riapertura delle chiese per i riti pasquali e chi era contrario. I primi, tra loro soprattutto chi in chiesa ci va di rado, hanno detto che non si possono tenere aperte le tabaccherie per soddisfare un “vizio del corpo” e tenere serrate le chiese che potrebbero saziare lo spirito. Dall’altra parte troviamo coloro, tra questi molti uomini di Chiesa e affini, che affermano che si può pregare da soli perché è giusto che in questa fase prevalga il diritto alla salvaguardia della propria e altrui salute.

La discussione su questo tema ci porta ad ampliare la riflessione sul senso del rito, di ogni rito, civile o religioso. Tante persone si lamentano della ripetitività di alcuni appuntamenti, dalla Pasqua al 25 apriledal Primo maggio al 2 giugno. Tre di questi di sicuro li saltiamo mentre il quarto chissà. E ora che il coronavirus li ha cancellati ci mancano, anche sotto l’aspetto festaiolo che, in fondo, è rituale anche quello.

Ecco, è sul senso più profondo del rito che dobbiamo ragionare. È il simbolo identitario di una comunità. Si può pregare da soli invece che in gruppo; si può celebrare il 25 aprile con la bandiera alla finestra invece che in piazza ma del rito collettivo non si può fare a meno. Appena sarà possibile.

Buon viaggio

30 commenti a “Da soli o in gruppo

  1. Giorgio cellino

    Buon viaggio a tutti , spero che ognuno di voi abbia usato o stia usando le poche o l’ unica arma che abbiamo a disposizione per combattere questa guerra , se così fosse Il viaggio sarà più breve del previsto .

  2. Mario FEZIA

    Il viaggio è ciò che conta … non dove si va o se si è in compagnia . Si può essere soli in mezzo a mille persone . Se penso ai miei Compagni di viaggio sparsi per la mia città, ma anche fuori, non mi sento ne mi sentirò mai solo ! La solitudine è una condizione dell’anima …. noi non lo saremo mai !!!!

    • Maurizio

      Non è importante ciò che si fa, ma quello al quale si vuol tendere.

      Un TFA al Risp. Ven.mo G. M.

      Maurizio

  3. Massimo La Via

    Noi tutti siamo legati alle tante piccole ritualità, soprattutto scaramantiche, che ci accompagnano nella nostra quotidianità, il caro Totò ce ne mostrerebbe tante, per non parlare del grande Eduardo nella superba scena del caffè in “Questi Fantasmi”. Poi, ce ne sono altre a noi molto care, come quelle che vedono la ritualità come formazione dell’Uomo e come momento di aggregazione intorno ad un punto focale di orientamento del pensiero e della prassi collettiva che porta sulla Via dell’elevazione dell’Umanità, verso un’etica umanitaria universale e condivisa. Carissimo Gran Maestro, dopo ogni tempesta torna il sereno e anche noi, come temerari navigatori di questo tempo, torneremo a vivere le nostre emozioni collettive, con rinnovato spirito e con un più forte sentimento di Fratellanza.

  4. Giovanni Quattrone

    Riporto un articolo del Prof. Vito Mancuso che condivido.
    “Chi chiede di aprire le Chiese fa parte di quel genere di uomini che hanno sempre usato Dio per i loro traffici terreni “.
    Dal punto di vista spirituale: “Questa può essere la più autentica di tutte le Pasque che abbiamo celebrato fin qui, anche se non potremo andare a messa, né uscire di casa”.

    Un abbraccio a tutti i viaggiatori.

  5. Flavio Muraro

    E’ stupefacente la differenza tra “rito” e “ritmo”. Solamente una “m” che fa intendere quanto sia importante la rappresentazione esplicita (il rito) per sostanziare il bisogno interiore, archetipale, di scandire l’esistenza attraverso punti fermi (il ritmo) che tuttavia sono in divenire in quanto, nonostante la ciclicità del tempo, la nostra consapevolezza evolve.
    Una spirale, quindi. L’evoluzione dell’uomo.
    Il ritmo scandito dal rito.
    Interiorizzare l’evento rituale celebrandolo (celebrandolo, comunque!) con il silenzio, fa riflettere sulla capacità che deve avere l’Uomo di trascendere il Simbolo non eliminandolo ma introiettandolo.
    Saper vivere il ritmo, nonostante l’apparente mancanza del rito, ci ha già resi uomini migliori.

  6. Gino Zavanelli

    Car.mi Fratelli, dobbiamo saper attendere che passi “la nottata”, ma dobbiamo anche sapere che non esiste altro modo di fare massoneria diverso dal “collettivo” rituale della Loggia. Con il tfa.

    • Maurizio

      Non è importante ciò che si fa, ma quello al quale si vuol tendere.

      Un TFA al Risp. Ven.mo G. M.

      Maurizio

  7. Massimo

    Lo specifico del cristianesimo è l’aver “rivelato” il ruolo del Singolo, anche nel rito religioso. Qualcosa di analogo lo si ritrova già in precedenza soltanto nei riti magici, dove fondamentale è la figura del mago, la sua capacità di evocare, canalizzare e dirigere determinate forze, utilizzando in maniera assolutamente precisa formule, pentacoli e gesti. Il rito, sul piano etimologico, indica appunto questo scorrere, che è un lasciar passare, attraverso il canale dell’officiante, determinate energie. La parola rito richiama anche il ritmo costante con cui esso deve compiersi. Il rito cattolico, specie quello preconciliare, relegava sostanzialmente l’assemblea a un ruolo di spettatore di quanto il sacerdote compiva. È nel protestantesimo, dove non c’è il sacerdote, ma il pastore, che l’assemblea svolge un ruolo attivo, a scapito del rito, che perde il suo carattere numinoso, laicizzandosi. I riti dovrebbero farci scoprire la dimensione del nostro essere Singoli, all’interno di una Comunità, altrimenti rimangono gusci vuoti, cembali squillanti, ma il cui ritmo non produce o risveglia nulla. Forse questo momento dovrebbe aiutarci a comprendere quanto il rito, così come il cammino, è un ritrovarsi da solo a Solo.

  8. Alessandro De Carolis Ginanneschi

    Carissimo Gran Maestro, grazie. È vero, il percorso interiore possiamo e dobbiamo percorrerlo incessantemente: ma resta fine a se stesso, se non si compia all’interno della Ritualità e grazie ad essa.

  9. Pierfrancesco del Mercato

    Buon viaggio!
    Di questi giorni sembrerebbe un’ironia che apre la porta alla speranza, al sogno, al desiderio di un mondo anelante.
    È invece un augurio, connaturato alla natura umana sempre desiderosa di cose nuove, di scoprire e di conoscere.
    Ma a noi iniziati cosa vuole rappresentare nell’immaginario dell’eterno percorso della vita?
    Il nostro viaggio si concreta in una ricerca in noi stessi per trovare il nostro essere più profondo. Il nostro viaggio quindi è un tornare a noi, alla nostra casa.
    Scoprire se stessi.
    Ma se questo è il fine, qual è il senso della ritualità? perché ad essa diamo tanta importanza?
    Forse perché ci siuta ad estraniarci dal mondo, dal contingente, dai pensieri futili che spesso ci occupano.
    Si, la ritualità, sia ecclesiastica sia massonica, non è che uno strumento. Il fine è in noi stessi come dice il nostro poeta:
    “E quello che cercai mattina e sera
    tanti e tanti anni invano è forse qui”.

  10. Dario Seglie

    Grazie GM Stefano.
    Si, stiamo a casa, e il 25 Aprile faremo garrire il Tricolore dalle nostre finestre e dai balconi. Anche se paghiamo un prezzo enorme, i Fratelli d’ Italia non sono mai stati cosi uniti e desiderosi di una Patria grande e libera.
    Saluti & Salute,
    Dario Seglie

  11. Fiorenzo Belelli

    Il Rito è il ritmo che scandisce l’andamento nel percorso. Qualsiasi sia il Rito e qualsiasi sia il percorso. Si dice che chi percorrere la strada da solo vada più veloce, mentre chi la percorre in gruppo vada più lontano. Ecco, noi Massoni, avendo scelto il cammino verso la Vera Luce, sappiamo di dover andare lontano per sperare di vederla. Per questo, dobbiamo stare in gruppo ora e dovremmo starci soprattutto dopo.

  12. vito nobile

    Quante volte nella vita ci siamo trovati soli senza il coronavirus? Purtroppo in una comunità come la nostra dove i “valori” sono calpestati da tutti, o dalla furbizia di alcuni, ci troviamo ogni giorno da “soli” ad affrontare le problematiche della vita che vanno dalla famiglia, al lavoro, al divertimento, la spiritualità, la malattia, etc.
    Questo periodo dovrebbe servici per riflettere, capire che “soli” non siamo solo in questo periodo, dettato dalle restrizioni sanitarie, perché non possiamo incontraci per un aperitivo o una cena o andare in palestra o addirittura al lavoro. Siamo “soli” tanto quanto prima, infatti sono solo cambiati i modi di incontrarci e vederci. Tutto il giorno siamo collegati con chat o videoconferenze, e forse questo è il momento di individuare la qualità dei rapporti e strutturarli meglio nel momento in cui ci permetteranno di uscire di casa. Disponendo di più tempo libero dobbiamo concentrarci di più su quello che possiamo fare. Se si ha voglia di pregare lo si può fare comodamente da casa propria con più tranquillità, senza orari, ma soprattutto senza recarsi in chiesa per farlo. Come sappiamo le chiese in Italia chiudono generalmente alle 19, a differenza di altre religioni che le lasciano aperte tutta la notte. Ma se uno aveva un momento di spiritualità dopo le 19 che faceva aspettava il giorno dopo la riapertura della chiesa, oppure pregava da solo? Provate ad immaginare le immagini trasmesse in televisione con un papa che prega da solo in San Pietro o impartisce la Benedizione Urbi et Orbi una piazza completamente vuota, non è più toccante e spiritualmente più forte di tutte le altre celebrazioni che abbiamo visto?
    Ebbene in questa pandemia è meglio restare a casa nella speranza che finisca il più velocemente possibile per riappropriarci delle nostre libertà, dei nostri sentimenti e della nostra spiritualità.

  13. Raffaele Macarone Palmieri

    Il rito e’ un principio visibile di differenziazione, e’ un gesto simbolico che lega l’uomo al sacro, e’ iterativo e legato ai tempi presentando una cadenza giornaliera o settimanale come la preghiera o la messa o l’autopsia interiore del parlarsi allo specchio, oppure bisettimanale come la tornata o annuale come il natale o la pasqua o il solstizio o l’equinozio.
    Ogni rito presenta un aspetto collettivo secondo sequenze gestite da ‘specialisti’, gli officianti, sia essi religiosi o laici. Il rito ci protegge contro l’angoscia ed e’coagulativo ed e’ particolarmente utile in questi giorni di paura e di angoscia.
    La nostra societa’ ci sta deprivando di processi rituali, di identita’, quando gli studi etnologici sembrano ricordarci che nelle societa’ primitive la gestione ritualizzata dei fenomeni sconosciuti ha permesso la creazione di una comunicazione sociale strutturante le stesse societa’ umane.
    No secondo il mio parere non possiamo far a meno dei riti, ci porta ad uno sfilacciamento della vita sociale in comunita’.

    • Franca Marinelli

      Per Raffaele: il rito ci toglie angoscia e soprattutto fortifica la nostra identità con altre identità simili. No non si può fare a meno del rito… si potrebbe arrivare a gesti estremi

  14. Giuliano Bertelli

    È infatti fondamentale l’aggregazione, l’unione sia spirituale che reale per volare insieme come uno stormo, verso la libertà.

  15. Pierpaolo Q.

    Il tempio interiore risulta sterile senza che esso si specchi e risuoni in quello dell’altro, come un esercizio, come un iperbole fine a se stessa. Non un viaggio né un percorso, solo un tratto di strada. Grazie V.mo G.M. per la riflessione condivisa

  16. luca salimbeni

    Ill.mo e Ven.mo GM, quanto è stimolante questo dibattito!. Scinderei in due parti il problema. Penso che dobbiamo essere soli,semplici e liberi,perchè la coscienza sorge nella libertà, perchè la realtà si manifesta quando non siamo più impegnati nell’attività del nostro Io. La diversità non si realizza appartenendo tutti ad una stessa categoria,bensì non perdendosi in organizazioni, rimanendo completamente semplici e soli. Essere soli e semplici significa vivere la propria vita da soli,senza coalizzarsi in fazioni siano esse religiose e/o politiche,senza alimentare l’attrito che esiste inevitabilmente fra le fazioni stesse. Significa mantenere puro il proprio cuore, significa ricercare in sè stessi il libero slancioche è dato da quel qualche cosa che nessuna organizzazione può avere: il sentimento. D’altro canto, in ultima analisi, la società futura, se vorrà sopravvivere, non potrà fondarsi sul profitto e sull’egoismo. E’ perciò necessario inserire l’individualismo nel collettivismo,nel senso di assolvere i propri compiti e lavorare per la collettività e non per profitto personale. Solo da una fusione dell’individualismo con il collettivismo potrà nascere una società nuova,fondata e costituita da individui “nuovi”. In definitiva, penso che sia giusto essere soli per quanto concerne la scoperta di noi stessi ma bisogna essere, ed ispirarci,allo stare insieme per le istituzioni sociali,religiose e di Stato. Ognuno con i propri credi e le proprie convinzioni politiche. E riscoprire così quella nostra interiore religiosità e ricordando con i le dovute forme istituzionali e storiche le date che celebrano la nascita e lo sviluppo della nostra Italia. Fondamenti della nostra Costituzione nata dalla Resistenza che hanno apportato al paese libertà di pensiero e azione civile. Con il TFA Luca Salimbeni

  17. Gianni Mariani

    Noi dobbiamo continuamente smussare e levigare la nostra pietra, ma quella pietra avrà una funzione solo se unita alle altre: l’edificazione del muro del Tempio deve essere un lavoro collegiale coi nostri Fratelli, non vi può essere crescita singola senza l’eggregora, solo nel rapporto con gli altri possiamo comprendere i nostri limiti, i nostri errori e migliorarci

  18. Giacomo Priolo

    V.Mo Gran Maestro, Grazie dello sprone. Dice bene il fr. Nobile: molto spesso ci siamo trovati da soli ad affrontare la furbizia e gli interessi personalistici anche di Fratelli. Io credo che il pregare non è il risultato di conformarsi ad un rito o ad una ritualità, pregare è la ricerca, il bisogno molto profondo di metterci in contatto, di comunicare con l’ESsere Supremo. Spero che il “rito del Limite” di cui facciano esperienza in questi giorni, possa aiutarci a riscoprire l’importanza e la bellezza dell’incontro con l’altro, ritrovandoci con un più forte sentimento di Fratellanza, rinsaldando con più Forza e Vigore la Catena di Unione. Un Tfa al Risp. Ven.Mo G.M. Stefano

  19. Emanuele Valenzano

    Grazie per gli spunti alla riflessione.
    Su alcuni punti vorrei soffermarmi:
    a. Alcuni politici italiani forse ancora non comprendono o non sempre ricordano che l’Italia, costituzionalmente, è uno Stato laico. Noi (tutti) in qualità di cittadini non possiamo pretendere che un altro Stato (il Vaticano) apra i propri templi su richiesta di un politico italiano. Le competenze della “tabaccheria” e delle chiese riguardano non solo due ambiti lontani, ma anche due Stati differenti e l’uno non può e non deve entrare nei meriti dell’altro. Ma in Italia siamo abituati a fare confusione su questo. Ne è prova la sconcertante scena di alcuni politici che quando in veste ufficiale vanno in visita da un ecclesiastico fanno il baciamano, si chinano, si inginocchiano. Nel cerimoniale politico questa forma di sottomissione non esiste. Se il politico sente la necessità di compiere quei gesti perché il suo credo lo induce a farlo, deve chiedere un incontro privato, da credente, perché di fatto se lo fa in veste ufficiale il messaggio che passa è quello della sottomissione di uno Stato all’altro.
    b. Bene ha fatto a parer mio il Vaticano a tener chiuse le chiese, perché in questo modo ha protetto la parte sacra dell’uomo: la vita.
    c. Il rito per essere tale ha bisogno di un celebrante che ne comprenda il significato e che abbia ricevuto da un’altra persona l’ufficio in forma tradizionale e di una regolarità. Il rito è lo strumento che lega l’uomo al sacro.

  20. Ottavio Spolidoro

    Espongo una ricostruzione dei fatti: tutto l’apparato rituale politico ha da sempre in se’ un nocciolo teologico. Schmitt coglieva addirittura una sorta di analogia tra politica e teologia. Ma era un nazista e si sono viste le conseguenze nella storia. Il passato non si può cambiare se ne può, certo, avere diversa memoria ma è immodificabile. Ora questo rapporto se non analogico è tuttavia intrinseco alla politica e questo perché nella teologia stessa vi è un nucleo politico. Questo rapporto è un rapporto conflittuale perché la politica non riesce mai ad essere il Bene e la Chiesa proprio non può tornare a fare politica attestandosi come Autorità morale. Ora la scomparsa della forza teologica del messaggio politico fa si che tutti i suoi orfani ed epigoni vivano nel disincanto. Ci sono forze politiche che cercano di utilizzare la mancanza di una idea per il futuro appropriandosi della forza del futuro connessa al messaggio teologico, in termini di fine del mondo, dello straniero invasore, di sostituzione etnica ecc. sottolineando e rimarcando paure ed oscillando ( pur di conquistare il popolo bue) tra sottovalutazione ed esaltazione del rischio. Uno spettacolo di poca o nessuna qualità. E ciò indipendentemente dalle distinte posizioni. Oggi abbondano le analisi del presente. Tutta narrazione ed analisi nessuna escatologia, nessuna spinta verso il futuro. Le contraddizioni abbondano, sviano e disperdono la stessa analisi in mille rivoli Per renderla alla fine inana e condannando la politica ad un ruolo marginale. Ora dinanzi a questa immane tragedia il progetto sarebbe assolutamente necessario ma esso sembra che non possa venire da una classe politica che in tutte le sue componenti sembra scontare una ormai consolidata subalternità all’imponente potere economico finanziario. Un luogo di dibattito scevro da connotazioni partitiche teso unicamente ad individuare un futuro possibile. Un luogo senza alcuna pretesa di sostituzione o di tutela della politica. Il luogo di Prometeo e non di suo fratello Epimeteo che guarda solo al presente o all’immediato passato immodificabile. Ma dov’è?

  21. Pasquale Cerofolini

    Carissimi Viaggiatori e caro SGM Stefano ,
    ritengo importante , per questo approfondimento esternare il mio pensiero sui valori interiori , 1) del Rito nella Ritualità dei Rituali e quale simbolo Identitario di una Comunità , 2) del momento attuale in cui si può o no praticare il Rito – da solo o collettivamente – , 3) sul valore della ripetitività del Rito .
    1) Il Rito che noi accettiamo e pratichiamo , è un percorso confessionale o laico che pratichiamo consapevoli di ricevere sacralità praticando un percorso datore di sacro. Il Rito evidenzia in Noi un momento accettato di cambiamento , conferendo a questo cambiamento importanza e un significato interiore ed esteriore . Per Noi Massoni è il Rito di praticare il VITRIOL del proprio Gabinetto di Riflessione che sempre ci accompagna , vuoi singolarmente e vuoi vicendevolmente nel lavoro assieme ai Fratelli di Loggia in Officina , determinando in questo caso il Simbolo Identitario di una Comunità ;il Rito è Simbolo in Itinere , in Funzione , Simbolo che ti Orienta e Guida .
    2) Osservare tutti assieme il Rituale dei nostri Lavori , è la FORZA e la BELLEZZA , quando è possibile , arricchisce il proprio lavoro in quanto permette Noi , di potere stare in un contatto che supera la propria Individualità ,… chiaramente MAI è Corretto praticare il Rito nella Ritualità , perché è qualcosa di superiore alla DIFESA e attenzione “… della propria e altrui salute …” . Sono convinto quindi , della pratica personale in solitario del Rito nel caso di necessità(quali le attuali) , pratica apparentemente indebolita che però potrebbe nella propria coscienza del rispetto ai diritti propri e ‘ ALTRUI ‘ ritenersi pratica Arricchita di un valore tangibile anche se intelleggibile che solo la difficoltà esistente come quella cui viviamo ti dona e ti regala, a Noi la capacità di goderne il senso e la profondità .
    3) Praticare il Rito nella Ritualità dei Rituali da solo o assieme , mai e poi mai è e sarà ripetitività , anche quando questa sembra tale , in quanto la propria preparazione nella conoscenza e penetrazione acquisita del valore proprio del Rituale , quello che sia vuoi confessionale o laico , ti crea la condizione gioiosa e gratificante anche se infinitesimale di aprire e aprirci finestre interiori fino ad un attimo prima sconosciute , considero quindi la ripetitività , apparente nell’immagine dell’ “aspetto festaiolo” , una Allegoria fantastica , necessaria , di grande aiuto e supporto meditativo .

    TFA Tuo Fr. Pasquale Cerofolini
    GLSP – Paraguay

  22. Daniele Barone

    Il rito è una forma di incontro la cui celebrazione prevede un luogo dedicato. Benché adesso le chiese siano chiuse, e così i nostri templi, in egual modo fedeli e fratelli, nell’attesa, hanno formato finestre, davanzali, terrazzi multimediali dai quali parlare, ricordare, attendere ad un ritorno rituale.
    In difetto, non vi sarebbe attesa, ma indifferenza. Non vi sarebbe ricordo, ma anonimato. Nessuna identità da celebrare, nessuna memoria, nessum amore. Oggi, dispersi in pezzi di sale di passi perduti siamo come peregrini in viaggio ma ciascuno con la mente spiegata verso il nostro Tempio, e in una Grande lanterna il Fuoco tutelato doverosamente contro i flutti della decerebrazione.

    Daniele Barone

  23. Stefano Manca

    In ricordo di un grandissimo fratello…. per non dimenticare l’importanza della fratellanza, il rivolgere lo sguardo verso gli altri, aiutare il prossimo, e soprattutto ringraziare il grande architetto del mondo. Noi ti ringraziamo, nostro buon Protettore, per averci dato anche oggi la forza di fare il più bello spettacolo del mondo. Tu che proteggi uomini, animali e baracconi, tu che rendi i leoni docili come gli uomini e gli uomini coraggiosi come i leoni, tu che ogni sera presti agli acrobati le ali degli angeli, fa che sulla nostra mensa non vengano mai a mancare pane ed applausi.
    Noi ti chiediamo protezione; ma se non ne fossimo degni, se qualche disgrazia dovesse accaderci, fa che avvenga dopo lo spettacolo e, in ogni caso, ricordati di salvare prima le bestie e i bambini.
    Tu che permetti ai nani e ai giganti di essere ugualmente felici, tu che sei la vera, l’unica rete dei nostri pericolosi esercizi, fa che in nessun momento della nostra vita venga a mancarci una tenda, una pista e un riflettore.
    Guardaci dalle unghie delle nostre donne, ché da quelle delle tigri ci guardiamo noi. Dacci ancora la forza di far ridere gli uomini, di sopportare serenamente le loro assordanti risate, e lascia pure che essi ci credano felici.
    Più ho voglia di piangere, più gli uomini si divertono; ma non importa, io li perdono, un po’ perché essi non sanno, un po’ per amor Tuo, un po’ perché hanno pagato il biglietto.
    Se le mie buffonate servono ad alleviare le loro pene, rendi pure questa mia faccia ancora più ridicola; ma aiutami a portarla in giro con disinvoltura.
    C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla. Manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri. ( Il fratello Toto)

  24. Gilberto Micaelli

    Carissimi Fratelli mi sembra che il G.M. Stefano volesse ricordarci l’importanza e la insostituibilità del Rito. A me mancano immensamente i lavori di Loggia, e il peso di questa mancanza ho potuto riscontrarlo a seguito di questo periodo di sospensione dei nostri lavori. Io non sono un credente, ma per analogia capisco che ai credenti, manchi la partecipazione diretta ai Riti della loro religione.

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