Cari viaggiatori,
come ho scritto in uno dei precedenti viaggi, nel tempo dell’incertezza si cercano, invano, certezze. La migliore ricetta per non farci prendere dall’ansia è quella di non cercarle, certi che #tuttoquestopasserà.
Ci chiediamo quello che sarà di gesti abituali, come la stretta di mano e l’abbraccio. Faremo un passo indietro quando incontreremo qualcuno che, pericolosamente, si avvicinerà? Oppure, sprezzanti del pericolo ci avvicineremo? Ci stringeremo la mano e ci abbracceremo. Non possiamo farne a meno. E’ solo una questione di tempo e tempi.
Sul significato dell’abbraccio ha scritto una bella riflessione la scrittrice Gaia Manzini. Ha raccontato una storia di David Grossman: “Un bambino chiede alla madre se al mondo non ci sia un altro come lui. No, non c’è nessuno come te, ognuno di noi è speciale. Ma il bambino non vuole che sia così, il bambino non vuole sentirsi unico perché non vuole sentirsi solo. Tutti noi siamo un po’ soli e un po’ insieme agli altri, tranne quando ci abbracciamo, gli dice la madre. Quando ci abbracciamo diventiamo un’unica persona. Lo hanno inventato per questo l’abbraccio”. E’ proprio così e, siccome l’uomo non è un’isola, dell’abbraccio non ne faremo a meno.
La scrittrice confessa di aver chiesto a una sua amica medico “che cosa ne sarà dei gesti d’affetto, se quei gesti diventeranno arcaici, se la distanza sociale diventerà endemica… Mi scrive che non lo sa. Sa solo che in questi giorni lei è a contatto con i suoi colleghi in un ospedale che brulica di emergenze, ma questo non la spaventa per niente.
Anzi, la conforta. Dice proprio così: «mi conforta». Nessun abbraccio, solo il senso di camminare appaiati”.
In attesa di riabbracciarci possiamo continuare il viaggio.
Appaiati.
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