Quella stazione che non si riconosce

Ormai è sciupata, c’è poco da fare”. Non è un umarell ma un vecchio ferroviere che ogni giorno si affaccia alla finestra di via Lauro de Bosis e guarda la stazione ferroviaria malconcia. “Qualche volta vado al bar del dopolavoro ferroviario – dice – e mi vengono le lacrime agli occhi a guardare come è ridotta la zona. I campi da bocce all’aperto che vennero inaugurati dal sindaco Roberto Barzanti e dall’arcivescovo Mario Ismaele Castellano non ci sono più e neppure la pista di pattinaggio dove ha mosso i primi passi la campionessa Laura Perinti. Per non parlare del piazzale”. Dove c’erano le aiuole ora ci sono le fontane che nel 2009 l’amministrazione comunale commissionò agli studenti dell’Istituto d’Arte, sotto la cura e la supervisione di Fabio Mazzieri e Vita di Benedetto.
“Vennero dipinte a strisce, liberamente ispirate con i colori delle contrade, un modo per accogliere chi arrivava nella città del Palio, con un’opera bella, – ricorda Andrea Pagliantini sul suo blog – al cospetto della brutturia edilizia posta proprio in faccia alla stazione. Le vasche, anni dopo, hanno perso luce, acqua, parte del colore e spesso servono come cestino della spazzatura, il che, rende il viaggiatore, al primo impatto con la città, un senso di trascuratezza limpida e malinconica di nobile decaduta”. Quello che Pagliantini definisce “bruttura edilizia” è l’edificio dove ci sono il supermercato, l’università per stranieri e gli uffici dell’Estar, una struttura sanitaria pubblica che gestisce gli acquisti. 

Da tempo si parla di rimettere le mani sul piazzale Rosselli, dove spesso regna il caos tra pullman che arrivano e partono, clienti della farmacia che lasciano l’auto in mezzo alla strada, tassisti che fanno il loro lavoro e quell’ampia area con le vasche scolorite che potrebbe cambiare di nuovo volto per evitare l’ingolfamento dell’area. Chissà se l’amministrazione comunale vorrà metterci mano, con il rischio però di peggiorare addirittura la situazione. 

In questo garbuglio c’è una certezza, che della stazione che tanto piaceva a Filippo Marinetti non è rimasto molto. Negli anni è cambiata più volte tanto da far dire al creatore Angiolo Mazzoni che “i ricostruttori tolsero a questa mia creatura tutto il suo spirito futurista, la sua essenza funzionale e la sua poesia”. Marinetti aveva descritto una “stazione perfetta in una piccola città storicamente illustre disposta sopra un movimento di colli e pianure ondulate. Appare un complesso armonioso ma asimmetrico di linee rette, semicilindri fasciati di vetro e vasti piani di metallo bianco, sotto una fuga di marmi rosa e vermigli che legano l’edificio unitario alle erranti curve masse verdi e alla cadenza dei colli vicini. Tutto ciò con una disposizione di pianta propria a tutte le necessità dei servizi e delle velocità”.

I lavori eseguito dall’impresa Bianchi Gabriello e Figli erano quasi terminati nel luglio 1935 e rispetto al progetto, in corso d’opera erano state introdotte delle varianti per la semplificazione dei fabbricati alle estremità al fine di valorizzare ulteriormente la parte centrale e, nonostante non poche difficoltà durante l’esecuzione delle opere, la stazione venne aperta al pubblico il 28 ottobre 1935 alla presenza del ministro Antonio Stefano Benni, delle autorità locali e dei vertici delle Ferrovie dello Stato.

Ma di quella stazione e del piazzale restano solo le fotografie e le immagini nell’album dei ricordi di qualche anziano ferroviere. 


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